4 luoghi comuni sull’e-mobility da sfatare
Dai costi ritenuti pregiudizialmente eccessivi all’infrastruttura di ricarica giudicata insufficiente per arrivare allo spauracchio degli incendi, la mobilità elettrica è accompagnata costantemente da errate convinzioni. Ecco come smontarle
di Federica Musto
“E ma poi l’auto elettrica…” L’obiettivo della Commissione Europea di abbandonare l’immatricolazione di veicoli endotermici al 2035 (2040 per i veicoli commerciali) è stato accolto e condiviso da molti Paesi dell’Unione, tra cui anche l’Italia. Ciò significa che nel corso dei prossimi anni i veicoli elettrici che viaggeranno sulle nostre strade aumenteranno esponenzialmente, andando così anche a modificare il sistema mobilità a cui siamo abituati oggi. Ciò nonostante, la confusione generale sul settore dell’e-mobility resta acuta e le paure date dal cambio di abitudini necessario al passaggio di un’auto elettrica rimangono consistenti. Facciamo un po’ di chiarezza tentando di sfatare qualcuno dei luoghi comuni più diffusi.
E ma poi dove la ricarico?
Uno dei timori più persistenti è certamente quello legato all’infrastruttura di ricarica, che si ritiene essere ancora insufficiente a garantire un viaggiare spensierato su tutto il territorio italiano. Secondo i dati di MOTUS-E, la maggiore associazione per la mobilità elettrica in Italia, sono 26.024 i punti di ricarica installati al 31 dicembre 2021, distribuiti su location per il 79% su suolo pubblico e per il 21% su suolo privato a uso pubblico, come ad esempio i supermercati. Questo per un parco circolante italiano di auto elettriche a batteria e ibride plug-in di 235.721 veicoli. Sebbene le infrastrutture siano distribuite sullo stivale in maniera ancora non sufficientemente omogenea, con il 57% dei punti di ricarica nel Nord Italia, il 23% circa nel Centro mentre solo il 20% nel Sud e nelle Isole, la rete di ricarica è più che sufficiente a soddisfare il numero di auto elettriche oggi sulle nostre strade, ed è inoltre dimensionata a livello di potenza – e dunque di velocità di ricarica – in maniera da rispondere alle diverse esigenze di viaggio possibili. A partire dalla ricarica lenta domestica da eseguire quando la propria auto rimane ferma in garage, alle colonnine in corrente alternata (AC) distribuite presso i parcheggi delle nostre città, a disposizione in corrispondenza di punti di interesse e centri commerciali, installate presso hotel e ristoranti Electric Friendly, ossia adatti proprio a chi viaggia in elettrico per piacere o per lavoro e che, anche grazie agli incentivi a disposizione del 2021, sono cresciuti enormemente in numero e distribuzione territoriale. Passando poi a una ricarica in DC (corrente continua), più veloce e spesso disponibile presso supermercati, aree di sosta e stazioni di servizio; per arrivare, infine, ai punti di ricarica in HPC, ossia ad alta potenza, funzionali durante i viaggi lunghi sulle maggiori arterie stradali, che hanno visto proprio nel 2021 una crescita del +45% rispetto all’anno precedente.
E ma costa troppo
Purtroppo la legge di bilancio 2022 pubblicata ad inizio anno in Gazzetta Ufficiale non prevede il rinnovo degli incentivi all’acquisto di un’auto elettrica, come invece era stato previsto per il 2021, con risultati davvero interessanti a livello di numero di veicoli BEV e PHEV venduti. Ciò nonostante, i parametri da prendere in considerazione al momento dell’acquisto di un’auto dovrebbero considerare non soltanto il prezzo d’acquisto, ma il costo totale del veicolo distribuito su tutto il suo ciclo di vita, che in Italia – il paese con il parco auto circolante più vetusto d’Europa – si attesta sui 10 anni. Si definisce TCO, Total Cost of Ownership e prevede di considerare, oltre al costo iniziale, tutti i costi di possesso: il bollo ed il tagliando annuale, l’assicurazione, il costo del carburante e la manutenzione.
Partiamo dal bollo: i proprietari di auto a zero emissioni iniziano a pagare il bollo a partire dal sesto anno dall’immatricolazione, ma con una riduzione del 75% della tariffa; mentre in Piemonte e Lombardia godono addirittura dell’esenzione totale per sempre. Se i costi del tagliando di un veicolo elettrico sono assimilabili a quelli di un’auto a combustione, la manutenzione ordinaria, invece, sarà decisamente diversa. Un’auto elettrica è costituita da meno parti meccaniche rispetto alle colleghe fossili, non prevede liquidi oleosi per il suo funzionamento, né combustione e gas di scarico, il che la rende, in proporzione, molto meno soggetta a malfunzionamenti e sostituzioni. Passiamo poi al costo più oneroso e necessario per l’utilizzo giornaliero del veicolo: il carburante. Un’analisi condotta dall’Istituto per le energie rinnovabili di Eurac Research a Bolzano, ha calcolato la differenza di costo tra un veicolo di segmento medio a diesel e un veicolo a batteria. Lo studio è stato condotto nella prima metà del 2020 e ha previsto un consumo di circa 0.15 kWh/km per veicolo elettrico e 0.05 l/km per auto diesel, con uno scenario di 15.000 km annui. Il costo chilometrico per un veicolo a diesel si attestava sui 0,075 €/km (ad oggi, a seguito dell’aumento dei costi del carburante rispetto al momento in cui l’analisi è stata eseguita, il costo si attesta intorno ai 0,083 €/km) mentre il costo di un veicolo elettrico poteva variare in base all’abitudine di ricarica: sui 0,067 €/km ricaricando il veicolo sempre e solo ad una colonnina pubblica, sui 0,023 €/km con una ricarica che utilizza per il 50% l’energia acquistata dalla rete elettrica e per il 50% l’energia prodotta da fotovoltaico domestico, a 0,013 €/km per una ricarica con energia in solo autoconsumo. Il risparmio rispetto ad un’auto a diesel? Dai 120€ per chi ricarica in colonnina ai 930€ annui su 15.000 km percorsi per chi ricarica a casa utilizzando esclusivamente energia rinnovabile autoprodotta.
E se si incendia?
Una delle paure più curiose riguardo alle auto elettriche è quella relativa agli incendi. Le auto elettriche prendono fuoco? Certo, ma non più di quelle a combustione. E la prima causa di incendio, in questo caso, è la batteria di servizio, ossia quella al piombo a 12 volt, presente tanto sulle EV quanto sulle vetture tradizionali. Certamente, il protocollo di gestione di un incendio per un’auto a batteria è diverso rispetto a quello di un’auto a benzina, ma i pompieri sono preparati su una procedura standard da seguire. In linea di massima, batteria di servizio a parte, un incendio su un’auto elettrica si può verificare nel momento in cui una cella dovesse danneggiarsi e dare vita ad un corto circuito. In questo caso, tuttavia, l’incendio generalmente si innesca a seguito di un lungo momento di allerta che può essere associato alla fuoriuscita di fumi dal veicolo e in ogni caso segnalato dall’auto stessa: le batterie agli ioni di litio delle auto elettriche, a differenza delle batterie al litio presenti dei nostri dispositivi elettronici come smartphone e computer portatili, sono estremamente sofisticate e dotate di un dispositivo di controllo chiamato BMS, Battery Management System, che monitora costantemente il corretto funzionamento di ogni singola cella ed è dotato di un protocollo di sicurezza che permette di isolare l’eventuale cella danneggiata dal resto della batteria, limitando notevolmente i danni e i casi di incendio. Insomma, certo che anche le auto elettriche possono prendere fuoco, ma l’innesco a seguito del danneggiamento di una cella ioni-litio è decisamente meno probabile rispetto alla rottura del ben più fragile serbatoio di un’auto a combustibile fossile.
Ma da dove arriva l’energia per la ricarica?
È ancora particolarmente diffuso il preconcetto che un aumento dei veicoli elettrici richiederà un aumento della produzione energetica nei prossimi anni, che sarà soddisfatta da un maggiore impiego di centrali fossili. È sicuramente vero che il nostro mix energetico, ad oggi, è ancora basato per il 60% su energia derivante da produzione fossile e che l’energia utilizzata, salvo che in autoconsumo diretto da impianto FER di proprietà, non può certamente essere composta esclusivamente da elettroni con la “pettorina rinnovabile” ma attinge, appunto, da un flusso misto alimentato dalle diverse fonti di produzione. È tuttavia vero anche che esistono sul mercato dell’energia, delle certificazioni elettroniche chiamate Garanzie di Origine (GO) che vengono rilasciate dal GSE ogni qualvolta 1MWh di energia rinnovabile viene prodotto e immesso sul mercato. Tali certificati, essendo univoci, garantiscono che nella compravendita dell’energia, un CPO – ossia il soggetto che installa e gestisce le stazioni di ricarica – possa possedere un numero di GO pari all’energia erogata nelle stazioni di sua proprietà. Quasi tutti i CPO operanti in Italia hanno in essere contratti energetici con GO rinnovabili.