Cavi di ricarica: quando e come la qualità fa la differenza
I cavi utilizzati per ricaricare l’auto in corrente alternata, attraverso una wall box oppure una colonnina pubblica, non sono tutti uguali. Ecco i dettagli tecnici che contraddistinguono i prodotti migliori, come scegliere quelli più adatti alle proprie esigenze e come evitare i rischi della ricarica, ad esempio con la Schuko
di Matteo Bonassi
Il cavo con cui l’auto elettrica si collega al dispositivo di ricarica è uno degli accessori diventati “necessari” nella quotidianità di ogni e-driver, sia nell’ambito della ricarica domestica sia quando, ad esempio, il rifornimento energetico avviene in ambito pubblico attraverso le colonnine in AC. Affidarsi a un prodotto di qualità in grado di durare nel tempo, di preservare la salute della batteria e dell’impianto elettrico è fortemente consigliato. Esistono dettagli tecnici che possono fare la differenza e cavi che possono rivelarsi più o meno adatti alle diverse esigenze di fruizione. Ricordiamo che in AC, ovvero utilizzando dispositivi in corrente alternata, è possibile ricaricare con potenze che di solito raggiungono i 22 kW in trifase. Superata questa soglia vengono utilizzati dispositivi in DC, ovvero che utilizzano corrente continua.
L’ABC DEL CAVO
Esistono in commercio standard differenti, che dipendono sia dalla tipologia del veicolo, sia dalla potenza erogata dal caricatore utilizzato. Il cavo più diffuso è quello con connettore di Tipo 2 (chiamato anche Mennekes, perché è stata proprio l’azienda tedesca a introdurre questo standard nel 2014), che viene adoperato per ricaricare l’automobile in Modo 3, ovvero in AC attraverso una wall box oppure tramite una colonnina pubblica fino a 22 kW di potenza. È un compagno di viaggio indispensabile per ogni e-driver, visto che molto spesso si rivela necessario per rifornirsi presso le colonnine ad accesso pubblico che ne sono sprovviste. Il cavo di Tipo 2 può essere di tre tipologie: monofase da 16 ampère o da 32 ampère (per utilizzare potenze fino a 3,7 Kw nel primo caso, oppure 7,4 kW nel secondo), trifase a 16 ampère (per potenze fino a 11 kW) e trifase a 32 ampère (per sfruttare fino a 22 kW di potenza). La scelta in questo caso andrà ponderata in base alla potenza del caricatore a bordo della vettura e della soluzione di ricarica utilizzata con più frequenza. La ricarica in Modo 3 può avvenire anche attraverso un cavo di Tipo 1, standard che si differenzia dal classico Mennekes per la tipologia di presa lato vettura, in questo caso a 5 pin: supporta ricariche in monofase con potenza fino a 7,4 kW e non dispone del perno di blocco (può essere scollegato durante la ricarica). Il cavo di Tipo 1 si collega alla rete sia con connettore di Tipo 2, sia con la classica presa industriale.
Passando invece alla ricarica in DC il più diffuso è lo standard CCS Combo 2 dedicato alla ricarica fast e ultrafast, un cavo di cui però gli e-driver non devono preoccuparsi visto che, per motivi di sicurezza legati ai voltaggi in gioco, è sempre presente presso le colonnine Hpc e già collegato alla stazione (proprio come le pompe di benzina tradizionali). Esiste poi lo standard CHAdeMO, tradotto letteralmente dal giapponese “O cha demo ikaga desuka”, ovvero “prendiamoci un tè mentre ricarichiamo”. In Europa è diffuso principalmente sulle auto elettriche nipponiche oltre che su alcune auto americane e supporta la ricarica in DC ad alta potenza fino a 100 kW. La ricarica in DC attraverso cavo CCS Combo 2 o CHAdeMO viene definita in Modo 4. È prevista infine la ricarica in Modo 2 – conosciuta anche come opportunity charging (ovvero ricarica d’emergenza) – che può essere effettuata in ambito privato ovunque sia presente una presa di corrente e prevede l’utilizzo di un cavo con presa di Tipo 2 o Tipo 1 per collegarsi all’auto e della classica presa Schuko per connettersi all’impianto elettrico domestico. Per utilizzare questa tipologia di ricarica si trovano in commercio cavi che presentano una control box solitamente intorno alla metà della sua lunghezza, ovvero un dispositivo di sicurezza con un circuito elettronico che previene danni alla batteria o al caricatore dell’auto causati da surriscaldamento, cortocircuiti o sbalzi di temperatura. La ricarica in Modo 1, ossia con cavo direttamente connesso alla presa di corrente senza alcun dispositivo di sicurezza, viene utilizzata principalmente per e-bike, scooter elettrici, monopattini e minicar, di norma non andrebbe mai utilizzata per le auto elettriche.
COSA CONTRADDISTINGUE UN CAVO DI QUALITÅ
I cavi di Tipo 2 a un primo sguardo potrebbero sembrare tutti uguali. Esistono invece delle differenze relative ai materiali utilizzati e alle tecnologie impiegate per assemblarli che influiscono sensibilmente sulla qualità del prodotto. Mauro Sartor, e-mobility manager di Phoenix Contact, spiega: «Le caratteristiche principali che identificano un cavo di qualità sono, ad esempio, la presenza dei contatti argentati: questo permette di allentare la resistenza all’abrasione meccanica quando il cavo si collega e consente di gestire con meno stress correnti più elevate. Altra caratteristica importante, visto che un cavo deve garantire almeno 10mila cicli di connessione, è la forza di inserzione. Un cavo di buona fattura deve avere una forza di resistenza all’inserimento inferiore ai 100 newton: più è bassa e più il cavo dura nel tempo». Altro fattore è il grado di protezione: più è elevato, soprattuto quello dei connettori, maggiore sarà la resistenza alle intemperie se vengono spesso utilizzati all’aperto, sotto la pioggia oppure in luoghi particolarmente polverosi. Poi ci sono altri due fattori, più soggettivi, percepiti però dall’utente come plus di qualità, come l’ergonomia dell’impugnatura e, più in generale, la qualità della gomma esterna. I cavi in AC come quelli proposti da Phoenix vengono costruiti con un sovrastampaggio in gomma che permette di avere un grip più ergonomico e antiscivolo, cosa che li rende più pratici da maneggiare.
Una delle criticità nella costruzione di un cavo di ricarica sono le estremità a cui vengono montati i connettori, perché spesso soggette a torsioni e trazioni, un po’ come avviene quando si danneggiano i mini-jack delle cuffie stereo. Inoltre in fase di collegamento potrebbero verificarsi stress che derivano dalla posizione del cavo rispetto alla presa. Continuando a flettere o a torcere vicino alle zone di collegamento, un cavo assemblato alla lunga può danneggiarsi. Ed è proprio su questi “punti deboli” che l’industria ha concentrato il proprio know how per realizzare cavi in grado di durare nel tempo: «Parlando di qualità e di efficacia a parità di potenza, caratteristiche come robustezza e resilienza fanno la differenza» spiega Yuri Nucifora, technical services emobility di Mennekes. «Pensate a un cavo costruito assemblando diverse parti: potrebbero verificarsi delle “falle” dal punto di vista dei giochi che si trovano tra i diversi componenti, oppure tra le connessioni che hanno magari pochi millimetri di gioco e possono favorire delle infiltrazioni.
Anche lo stress dato dall’utilizzo del cavo potrebbe incidere su queste tolleranze. Il cavo Mennekes viene estruso ad alte temperature, ovvero sigillato fondendo i componenti, di conseguenza non ci sono giochi o punti deboli che invece potrebbero verificarsi con cavi assemblati. Il pezzo è unico, acqua e polvere non possono entrare, sono praticamente sigillati. Inoltre, visto che si tratta di un processo di estrusione e di componenti incollati, non ci sono parti sottoposte ad usura». Altro fattore importante sono i materiali impiegati per la guaina in gomma che ricopre il cavo, soprattutto se si pensa a un accessorio che verrà utilizzato spesso all’aperto. «Le normative europee oggi sono più severe riguardo alla gomma utilizzata per i cavi di ricarica», spiega Federico Mazzoleni, chief technology officer di Daze Technology, «bisogna adoperare materiali più performanti e resistenti ai raggi ultravioletti, perché sono cavi che vengono utilizzati molto spesso in esterno, restando in contatto con gli agenti atmosferici. La gomma si degrada e dopo qualche anno, piegandoli spesso per riporli nel bagagliaio, potrebbero iniziare a rovinarsi. Daze Technology ha scelto di proporre un cavo di Tipo 2 che è uno dei più costosi sul mercato. Questo perché abbiamo deciso di offrire la massima qualità disponibile senza compromessi, utilizzando un connettore molto ergonomico che garantisca il minimo ingombro con il massimo grip».
I RISCHI DELLA SCHUKO
Utilizzare abitualmente la classica presa Schuko per ricaricare l’auto non è consigliato. Perché se da un lato il dispositivo PWM (acronimo di Pulse-Width Modulation) protegge la batteria dell’auto, dall’altro la maggior parte degli impianti elettrici domestici, sopratutto i più datati, non sono progettati per lavorare a piena potenza per periodi prolungati di diverse ore. «Quando sfruttiamo una ricarica in Modo 2, in pratica utilizziamo un’installazione provvisoria», spiega Federico Mazzoleni di Daze Technology. «In questo caso è possibile ricaricare, secondo le norme previste nel nostro Paese, con una potenza fino a 10 ampere in monofase, ovvero a 2,3 kW. Il risultato è innanzitutto una ricarica molto lenta: ad esempio per rifornire una Volkswagen ID3 con una capacità pari a 58 kWh della batteria – volendo fare il pieno partendo dallo 0% – ci vorrebbero quasi 24 ore. Ma il problema principale è che stiamo utilizzando una rete studiata per fornire energia a degli elettrodomestici: collegare un veicolo elettrico che assorbe a piena potenza per tutte quelle ore diventa decisamente impegnativo, oltre che rischioso, e può succedere di ritrovarsi con prese bruciate». Collegare l’auto alla presa Schuko è da considerarsi come soluzione solo in casi di emergenza: i cavi più comuni che vengono utilizzati per questa modalità non sono in grado di controllare in modo funzionale la ricarica e il convertitore con sistema di sicurezza integrato, può non essere in grado di scongiurare gravi danni all’impianto domestico.
«È capitato di trovare prese di corrente sciolte e plastiche fuse. È una soluzione sconsigliata per impieghi di lunga durata», ribadisce Yuri Nucifora di Mennekes. «Consigliamo sempre di ricaricare in Modo 3 con gli appositi cavi di Tipo 2 perché sono progettati per supportare tensioni elevate e vengono abbinati a dispositivi di ricarica studiati ad hoc per lavorare in totale sicurezza una volta allacciati alla rete elettrica. Quando ci si affida alla ricarica in Modo 2 il problema è principalmente proprio lato impianto, perché la maggior parte di quelli domestici non sono concepiti per ricaricare un’auto elettrica». Per ovviare a queste problematiche esistono in commercio dispositivi come il Juice Booster 2 prodotto da Juice Technology. L’azienda infatti ha affrontato il problema relativo al surriscaldamento della rete domestica integrando al proprio dispositivo la tecnologia del sensore di temperatura Juice Celsius, presente all’interno delle proprie prese Schuko e negli adattatori per prese domestiche. Questi ultimi infatti sono tutti dotati del sistema brevettato di monitoraggio della temperatura, che garantisce una ricarica sicura e affidabile anche dalle normali prese residenziali. I sensori di temperatura integrati comunicano con la stazione di ricarica Juice Booster 2 tramite la spina Juice Connector: se la spina rileva un potenziale surriscaldamento, trasmette immediatamente un segnale alla stazione di ricarica portatile, che è in grado di interrompere il processo di ricarica in modo controllato. In questo modo si evitano potenziali danni alla presa di corrente e alla batteria dell’auto elettrica. Non appena i poli tornano a una temperatura normale, il processo di carica riprende. Sono possibili fino a tre riavvii, alcuni a potenza gradualmente ridotta. Se al terzo tentativo la spina è ancora troppo calda, il ciclo di carica viene completamente interrotto per la sicurezza degli utenti. Inoltre, grazie a un’ampia serie di adattatori, Juice Booster 2 è compatibile con tutti i modelli di auto elettrica dotati di presa di ricarica di Tipo 1, di Tipo 2 e può essere utilizzato con wall box e colonnine con potenza fino a 22 kW.
LUNGHEZZA, POTENZA E TIPOLOGIA: COME SCEGLIERE
I cavi di Tipo 2 vengono solitamente proposti con lunghezze che vanno dai 3 ai 5 agli 8 metri: naturalmente una cavo più lungo può ovviare a situazioni “scomode” in cui risulta difficoltoso collegare la presa dell’auto alla colonnina, ma comporta un accessorio più ingombrante e pesante. In fase d’acquisto bisogna poi tener conto delle specifiche tecniche dell’auto: inutile acquistare un cavo da 22kW se il limite del caricatore della vettura è fissato a 7,4kW, ma potrebbe rivelarsi un investimento sensato se l’intenzione è quella di acquistare un secondo o un altro veicolo elettrico, magari più potente, in futuro. La scelta dipende molto dal tipo di utilizzo. Un cavo lungo è più comodo in contesti sconosciuti, ovvero quando si va a ricaricare presso una colonnina che potrebbe essere disposta male rispetto alla presa sulla vettura. Va detto che, con una lunghezza del genere, si può procedere alla ricarica con ampi spazi di manovra. Di contro però ci si ritroverà a gestire un cavo più pesante e più difficile da riporre nel bagagliaio.
Se invece l’utilizzo previsto è principalmente domestico, meglio puntare sul cavo da 4 metri, una lunghezza che però non consente di “aggirare” il veicolo in caso di necessità. «Per scelta non trattiamo cavi spiralati» racconta Yuri Nucifora di Mennekes, «principalmente perché, con potenze importanti e quindi in presenza di una sezione più larga, diventano più scomodi, più pesanti e infine, a parità di prestazioni, risulterebbe avere un costo più elevato (solitamente la differenza di prezzo, a parità di prestazioni e lunghezza, si aggira intorno agli 80 euro, Ndr)». «Per nostra esperienza abbiamo constatato che un cavo da 5 metri è spesso il miglior compromesso sia per l’utilizzo domestico sia per la ricarica presso colonnine pubbliche», racconta Mauro Sartor di Phoenix Contact. «Normalmente è una lunghezza che consente di raggiungere agilmente la presa dell’auto. Scegliendo un cavo più lungo il rischio è quello di ritrovarsi con un accessorio troppo pesante, difficile da manovrare e da riporre. Il cavo spiralato, che abbiamo a catalogo, una volta compattato, occupa meno spazio nel bagagliaio. Hanno però lo svantaggio di essere più pesanti, vengono allungati durante l’utilizzo e a volte, se troppo tirati, rischiano di strisciare contro la scocca dell’auto. Infine, se esposti spesso al sole o ad altri agenti atmosferici, possono perdere elasticità».
RISCHIO DI FURTO DURANTE LA RICARICA
Mediamente il prezzo medio di un cavo di ricarica Tipo 2 parte dai 150 euro per arrivare a 250 euro circa. Il cavo inoltre contiene una discreta quantità di rame, caratteristica che potrebbe in effetti renderlo appetibile per il furto quando l’auto viene lasciata in carica, magari in un luogo particolarmente isolato o in un parcheggio poco frequentato. Durante la ricarica però, sia lato vettura sia lato stazione, un sistema di sicurezza blocca fisicamente il cavo impedendone il distacco. «Per i cavi di ricarica di Tipo 2 teoricamente non ci sono grossi rischi di furto, perché di norma il processo di ricarica blocca le prese da ambo i lati», spiega Mauro Sartor di Phoenix Contact. «Oltretutto lo sblocco, una volta terminata la ricarica, deve avvenire lato veicolo e l’unico che può effettuarlo è il proprietario dell’auto. Phoenix Contact propone un sistema di sicurezza anti sganciamento anche per i cavi con presa Tipo 1, ove la normativa non lo prevede: abbiamo implementato la presenza di un foro dove può essere agganciato un lucchetto per evitare furti. In generale però bisogna mettere in conto la possibilità di un atto vandalico: se il cavo viene rotto si può portare via perché appena viene manomesso, il processo di ricarica si interrompe e il cavo non è più energizzato».
«Se pensiamo all’eventualità di un furto», conferma Yuri Nucifora di Mennekes, «bisogna arrivare al punto di rompere fisicamente entrambi i connettori che collegano l’auto alla stazione, cosa tutt’altro che semplice perché i pin entrano parecchio in profondità e, oltretutto, sul lato del veicolo c’è un vero e proprio sistema di blocco interno. Detto questo, teoricamente non esiste il rischio di prendere la scossa: una volta che viene manomesso il cavo, la ricarica viene bloccata e non passa più corrente». Se da un lato quindi i sistemi di sicurezza evitano che qualche malintenzionato tenti di appropriarsi del cavo di ricarica altrui durante o terminata la ricarica, nulla può scongiurare un atto vandalico, che comunque, con molta probabilità, renderebbe il cavo inutilizzabile.
I PRODOTTI
Il caricatore Juice Booster 2 prodotto da Juice Technology è una stazione di ricarica portatile che, grazie ai numerosi adattatori inclusi, può essere utilizzato sia per la ricarica in Modo 3 sia in Modo 2 collegandosi alla presa Schuko. Può effettuare ricariche fino a 22 kW di potenza e il grado di protezione IP67 lo rende adatto anche per l’utilizzo in esterno (a questo link maggiori dettagli).
I cavi di ricarica di Tipo 2 proposti da Daze Technology sono disponibili sia in versione monofase fino a 7,4 kW di potenza, sia in versione trifase per ricaricare con potenze fino a 22 kW. Sono disponibili in 4 colorazioni differenti, in 3 taglie diverse (da 3, 5 oppure 8 metri) e vengono forniti con una comoda sacca per riporli nel bagagliaio dell’auto. A questo link ulteriori dettagli.
I cavi della linea Charx Connect proposta da Phonenix Contact sono disponibili in diverse configurazioni in base alla potenza e alla lunghezza necessaria. Presentano cappucci di protezione per salvaguardare i contatti interni, mentre il design particolarmente ergonomico per una maggiore praticità di utilizzo. I connettori hanno superfici argentate per assicurare una più efficiente trasmissione della corrente e una maggiore resistenza alla corrosione. A questo link l’assortimento di cavi prodotti da Phoenix Contact.
Mennekes nel 2014 ha stabilito con il proprio cavo lo standard per la ricarica con connessione di Tipo 2. I cavi Mennekes in fase di produzione vengono estrusi ad alte temperature, onde evitare punti soggetti ad usura oppure infiltrazioni che potrebbero danneggiarne i componenti nel tempo. Supportano ricariche con potenze da 3,7 kW in monofase fino a 43,5 kW in trifase. A questo link maggiori informazioni sui prodotti Mennekes.
Nota: Le immagini dell’infografica sono tratte dal catalogo VPSolar. A questo link è possibile scaricare la guida completa