E-fuels: soluzione ambientale o compromesso politico?
Cosa sono gli e-fuels, come vengono prodotti e perché a oggi non possono essere considerati una vera alternativa all’elettrico e, soprattutto, non rappresentano una reale soluzione all’emissione di gas nocivi nell’atmosfera
Gli e-fuels sono combustibili sintetici prodotti combinando idrogeno verde e CO₂ catturata con energia rinnovabile. Il concetto è semplice: anziché estrarre petrolio, si crea un carburante che può essere usato nei motori a combustione esistenti, ma senza aggiungere nuova CO₂ all’atmosfera. In teoria, una soluzione perfetta: zero modifiche ai veicoli, zero nuove infrastrutture e una mobilità “carbon neutral”. In pratica, però, il quadro è molto più complesso. Grazie a un accordo fortemente voluto dalla Germania, a marzo 2023 l’Unione Europea ha ufficialmente riconosciuto gli e-fuels tra le soluzioni per la decarbonizzazione, permettendo la vendita di auto a combustione dopo il 2035 solo se alimentate esclusivamente con questi carburanti. Nel frattempo, il pacchetto Fit for 55 ha imposto quote minime per l’uso di carburanti sintetici nell’aviazione e nella navigazione, settori difficili da elettrificare. Ma c’è un problema: gli e-fuels sono costosi, hanno un’efficienza energetica bassissima e, sebbene siano CO₂ neutrali, continuano a produrre NOx e altri inquinanti locali. Funzionano, sono riconosciuti dalla normativa, ma sono davvero la soluzione? O servono solo a tenere in vita i motori termici in un mondo che sta andando altrove?
Come si producono gli e-fuels
Gli e-fuels promettono di sostituire benzina, diesel e cherosene senza modificare motori o infrastrutture, ma il loro processo di produzione è un concentrato di chimica avanzata ed energia rinnovabile. Il principio è chiaro: catturare CO₂, produrre idrogeno e combinarli per ottenere un combustibile sintetico. Il problema è renderlo concreto. La produzione inizia con l’idrogeno verde, ottenuto tramite elettrolisi dell’acqua. Si tratta di un processo in cui una corrente elettrica scinde la molecola di H₂O nei suoi elementi fondamentali: idrogeno e ossigeno. Il sistema più usato oggi è l’elettrolisi PEM (Proton Exchange Membrane), che lavora con una membrana polimerica conduttrice di protoni e produce idrogeno ad alta purezza con un’efficienza tra il 70 e l’80%. Ci sono anche l’elettrolisi alcalina, più economica ma meno efficiente, e l’elettrolisi ad ossidi solidi (SOEC), che opera a temperature elevate e promette efficienze superiori, ma è ancora in fase sperimentale. C’è però un tema importante da tenere in considerazione. L’idrogeno verde, cioè quello prodotto tramite elettrolisi alimentata da energia rinnovabile, rappresenta oggi una frazione insignificante dell’idrogeno totale in circolazione. Secondo il report Renewables 2024 della International Energy Agency (IEA), entro il 2030 la sua quota raggiungerà appena il 4% del totale. Il motivo è semplice: gli elettrolizzatori richiedono enormi quantità di energia e, considerando la quota ancora insufficiente di rinnovabili nel mix energetico globale, l’idrogeno verde resta economicamente svantaggioso rispetto a quello prodotto da fonti fossili. Parallelamente all’idrogeno bisogna poi ottenere il carbonio, e qui si apre un’altra sfida. La CO₂ può essere catturata direttamente dall’atmosfera (Direct Air Capture, DAC), usando soluzioni alcaline o filtri a base di ammine per assorbirla. Ma la concentrazione della CO₂ nell’aria è solo dello 0,04%, quindi il processo è costoso e richiede molta energia. Un’opzione più economica è la cattura dai fumi industriali (Point Source Capture), dove la CO₂ è già concentrata e più facile da estrarre. Tuttavia, se la fonte è un impianto che brucia gas naturale, il bilancio ambientale diventa meno chiaro. Una volta catturata, la CO₂ viene purificata, compressa e resa disponibile per la sintesi chimica. E qui entrano in gioco diverse tecnologie, a seconda del tipo di carburante che si vuole produrre. Il metodo più avanzato è la sintesi Fischer-Tropsch, sviluppata nei primi decenni del ’900 e oggi utilizzata per produrre combustibili sintetici su scala industriale. In questo processo idrogeno e monossido di carbonio (CO) reagiscono in presenza di un catalizzatore metallico a base di ferro o cobalto, formando lunghe catene di idrocarburi. La reazione avviene a temperature tra 200 e 300 °C e pressioni tra 20 e 40 bar, generando una miscela di idrocarburi liquidi che possono essere raffinati per ottenere e-benzina, e-diesel o e-kerosene.
Un’altra strada è la sintesi del metanolo, dove CO₂ e idrogeno reagiscono su un catalizzatore di rame a circa 250 °C e 50-100 bar. Il metanolo ottenuto può essere usato direttamente come carburante o convertito in benzina tramite il processo Methanol-to-Gasoline (MTG), sviluppato da ExxonMobil, che spezza e riorganizza le molecole per ottenere una miscela simile alla benzina tradizionale. Per la produzione di e-metano, invece, si usa la reazione di Sabatier, in cui CO₂ e idrogeno reagiscono su un catalizzatore di nichel a circa 300 °C per formare metano sintetico. Questo gas può essere usato direttamente nei veicoli a metano o immesso nelle reti di distribuzione del gas naturale. Ma quanto costa tutto questo a livello energetico? Se sulla carta il processo funziona, il vero problema emerge quando si fa il conto energetico. L’elettrolisi dell’acqua ha un’efficienza dell’80%, quindi per ottenere 1 MWh di energia sotto forma di idrogeno servono circa 1,25 MWh di elettricità rinnovabile. La cattura della CO₂ aggiunge un altro 0,2-0,3 MWh per tonnellata di CO₂, e la sintesi Fischer-Tropsch, il processo più usato per produrre e-diesel ed e-benzina, ha un’efficienza intorno al 60%. Sommando tutte le perdite lungo il percorso, solo il 15-20% dell’energia iniziale finisce effettivamente nel serbatoio di un veicolo. Per dare un’idea concreta: se con 100 kWh di elettricità rinnovabile si alimenta direttamente un’auto elettrica per circa 500 km, gli stessi 100 kWh, trasformati in e-fuel, permettono di percorrere circa 100-120 km con un’auto a combustione. Il resto dell’energia viene disperso lungo la catena di conversione. E se questo fosse l’unico modo per decarbonizzare il trasporto aereo e marittimo, potrebbe avere senso. Ma per le auto? Ha davvero senso bruciare e-fuel in un motore termico quando con la stessa elettricità si possono ricaricare molte più auto elettriche?
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