di Federica Musto
La COP26 si è conclusa con l’impegno firmato tra amministrazioni pubbliche, aziende e associazioni per cui dal 2040 non si potranno più vendere auto e furgoni “tradizionali” a favore dei veicoli a zero emissioni. Sebbene in Italia solo tre città – Roma, Firenze e Bologna – abbiano a oggi sottoscritto l’accordo, le auto alla spina che vedremo circolare sulle nostre strade aumenteranno sempre di più nel corso dei prossimi anni. E anche se il passaggio a una mobilità full electric prevedrà un vero cambio di paradigma della mobilità e non una mera sostituzione dei veicoli termici circolanti con l’equivalente numero di veicoli a elettroni, la capillarità della rete di ricarica risulterà sempre più fondamentale.
A differenza delle auto endotermiche – diesel o benzina – l’auto elettrica è infatti provvista di una batteria agli ioni di litio che per funzionare deve essere ricaricata tramite un flusso di corrente elettrica. Questo cambio di prospettiva – dalla sosta al benzinaio a quella presso un punto di ricarica – sta creando tanta curiosità e, come per tutte le cose nuove, anche un po’ di timore. Dove la ricarico? Come la ricarico? Quanto tempo ci vuole?
Proviamo a fare un po’ di chiarezza e magari a sfatare qualche falso mito.
I tanti “Modi” di ricarica
Quella che viene normalmente definita la Colonnina di ricarica in effetti è una stazione dotata di una presa elettrica che può essere ricondotta sostanzialmente a quattro tipologie.
La prima domanda che bisogna farsi è comunque sempre la stessa: quale veicolo elettrico si vuole ricaricare? Il cosiddetto Modo 1, ad esempio, consiste nel collegamento diretto del veicolo alla presa di corrente domestica tramite un cavo con la comune spina italiana di tipo C o L di cui sono dotati tutti piccoli elettrodomestici. Si tratta di una modalità in uso per i veicoli leggeri come scooter ed e-bike e non consentita in Italia per veicoli a quattro ruote poiché non dotata dell’elettronica di controllo a circuito PWM (Pulse Width Modulation) necessaria a garantire la sicurezza sia delle persone sia del pacco batterie del veicolo.
Il Modo 2 invece prevede un sistema di sicurezza specifico chiamato Control Box (basato sul circuito PWM sopracitato), in questo caso montato direttamente sul cavo di ricarica che viene utilizzato per connettere il veicolo alla presa di corrente di tipo Shuko – la stessa utilizzata, in casa, per i grandi elettrodomestici come frigoriferi e lavatrici. È utilizzabile sia con le prese domestiche che con quelle industriali (trifase), funziona fino ad una potenza massima in AC (corrente alternata) di 22 kW ed è generalmente installato sui caricatori portatili delle auto, da utilizzare “in emergenza” nel caso in cui non si dovesse trovare una WallBox o una colonnina più adatta.
Con il Tipo 3 si entra invece nel vero e proprio mondo della ricarica standard per i veicoli elettrici e vi appartengono dunque la maggior parte dei punti di ricarica che si incontrano nei nostri box, nelle aziende e sui marciapiedi delle nostre città. Si tratta del Modo condiviso da tutti i sistemi di ricarica automatica in corrente alternata, per cui la Control Box è integrata direttamente nella struttura di ricarica e che prevedono un connettore denominato Type 2 – o Mennekes dall’azienda che lo ha brevettato. In pratica si tratta dei caricatori delle WallBox domestiche in monofase – più diffuse nelle abitazioni private poiché con una tensione di 220V e con una potenza che in genere si attesta sui 3 kW disponibili nel domestico, ma che può arrivare fino a 6 kW laddove la fornitura energetica lo dovesse permettere -; e in trifase, collegate al cavo da 380V tipico delle prese industriali, con una potenza superiore ai 6 kW e quindi più diffuse nelle aziende e tra le colonnine di ricarica pubblica.
Per dare un riferimento nella vita di tutti i giorni, appartengono al Tipo 3 le WallBox a muro da installare in garage, che spesso vengono vendute in abbinata al veicolo elettrico, come anche i punti di ricarica (a terra o a muro) che si vedono nei parcheggi di molte aziende private e presso le strutture ricettive – hotel e ristoranti. Sempre di Tipo 3 sono le colonnine – ad esempio – di Enel X (per citare l’operatore ad oggi più diffuso sul suolo pubblico) o altri operatori che troviamo presso i posteggi lungo la strada e sempre più spesso di fronte a negozi e supermercati.
Quando invece si parla di ricarica rapida si fa riferimento al Tipo 4, ossia una ricarica in corrente continua (DC) effettuata tramite una colonnina con cavo integrato, al quale collegare direttamente il proprio veicolo. Per questa modalità esistono due standard di connettore: uno europeo chiamato CCS Combo 2 e uno giapponese chiamato CHAdeMO – compatibile ormai in Europa solo con alcuni veicoli datati o d’importazione. Le stazioni di ricarica che prevedono il Modo 4 consentono una ricarica rapida e ultra rapida che ad oggi può raggiungere una potenza erogata fino a 350 kW. Le stazioni di questo tipo si incontrano in genere lungo le vie di percorrenza veloce e sono pensate per chi affronta viaggi lunghi ed ha bisogno di ricaricare ad alta potenza ed in poco tempo per ottimizzare la logistica stessa del viaggio. Come esempi pratici si possono citare i Supercharger Tesla (fruibili per ora esclusivamente da utenti Tesla) che si trovano lungo le arterie autostradali italiane appena al di fuori del casello autostradale e raggiungono una potenza di picco di 250 kW, il circuito UltraFast di Ionity che arriva anche a 300 kW e le stazioni HyperFast con potenze di picco a 350 kW che FreeToX sta installando presso le stazioni di servizio autostradale di Autostrade per l’Italia.
Come scegliere la modalità di ricarica più corretta?
La risposta è semplice: dipende dalla tipologia del veicolo e dal tempo che si ha a disposizione.
Anche nel mondo delle auto elettriche ci sono differenze sostanziali tra modello e modello, che comportano la selezione tra alcune delle opzioni di ricarica disponibili. Prendiamo un esempio di citycar italiana: la nuova Fiat 500e che prevede una ricarica sia in AC con un attacco Type 2 sia in DC con il CCS Combo 2.
Per preservare la batteria del veicolo – che non apprezza mai lo stress delle ricariche rapide e che sono dunque da evitare nel momento in cui si ha sufficientemente tempo per un rifornimento più dolce – la ricarica più consigliabile è con una WallBox domestica collegata all’impianto di casa a 2,3 kW, che permetterà all’auto di ricaricare circa 10-11 km in un’ora; con un impianto a 4,5 kW la ricarica avrà una velocità doppia e dunque di circa 22 km ogni ora. Collegandosi ad una colonnina pubblica da 22 kW in un’ora si potranno ricaricare in media 50-55 km, mentre con una ricarica rapida in DC alla potenza massima teorica possibile con questo modello, ossia 85 kW, si guadagneranno più di 200 km in soli 30 minuti.
La ricarica del veicolo è costante?
La risposta in questo caso è generalmente no: spesso la potenza varia in base alla disponibilità di rete, il che significa che nel domestico – in presenza di un sistema intelligente di gestione dei consumi – la potenza disponibile per la ricarica varierà in base al consumo istantaneo generale dell’abitazione; mentre per una ricarica rapida ad esempio al Supercharger la potenza di picco potrebbe essere limitata dal sovraffollamento della stazione.
Anche la stessa potenza di ricarica applicata nel tempo sulla batteria non è lineare: al fine di preservare la salute della batteria il cosiddetto BMS (che regola, tra le altre cose, i flussi di corrente) dopo un periodo di picco per cui la curva di ricarica raggiungerà il massimo della potenza disponibile, applicherà una diminuzione progressiva della potenza in arrivo mano a mano che la batteria si avvicinerà al punto di pieno.