18 secondi o 10 anni? Le Batterie, tra annunci e industrializzazione
Dalla promessa di una ricarica completa in pochi secondi alla sfida di portare le batterie allo stato solido in produzione su scala industriale. Tra annunci sensazionalistici e oggettivi ostacoli tecnici ancora da superare, ecco una panoramica sulle tecnologie più promettenti – dal sodio-ione alle ricariche ultra fast da 1 MW – distinguendo tra ciò che è già pronto per il mercato e ciò che rimane, almeno per il momento, confinato nei laboratori. un viaggio per capire come e quando queste innovazioni cambieranno davvero l’esperienza quotidiana di chi guida elettrico
di Federica Musto
Negli ultimi mesi il dibattito sulle batterie automobilistiche si è arricchito di annunci che, almeno sulla carta, sembrano riscrivere i limiti della tecnologia: ricariche in cinque minuti, pacchi in grado di reggere potenze da 1 MW, e persino dimostrazioni di moduli capaci di tornare al 100% in appena diciotto secondi. Numeri che fanno sensazione e che inevitabilmente accendono le aspettative degli ev-drivers. Ma quanto c’è di reale dietro queste news? E soprattutto: quando si potranno vedere in commercio batterie che segnino un vero salto prestazionale rispetto a quelle attuali, non solo nelle slide di una presentazione ma sulle auto di tutti i giorni? In questa panoramica ripercorriamo le novità più significative a inizio settembre 2025, provando a distinguere tra ciò che è già pronto all’industrializzazione e ciò che resta confinato ai laboratori, e a capire in termini concreti cosa potrà cambiare nell’esperienza quotidiana di chi guida elettrico.
Ultra fast charging da record
Ad aprile 2025, al Salone di Shanghai, CATL ha alzato l’asticella della ricarica ultra-rapida presentando la seconda generazione della batteria Shenxing. Si tratta di una LFP che, sulla carta, permette di recuperare 520 chilometri in cinque minuti: un tempo di sosta paragonabile al pieno di carburante, ma ottenuto con una chimica tradizionalmente meno densa di energia rispetto alle NMC. Il risultato si ottiene spingendo le celle a correnti oltre 1,2 MW, equivalenti a un C-rate di circa 12C. Per raggiungere questo obiettivo, CATL dichiara di aver riprogettato in profondità l’anodo, riducendone la resistenza interna, di aver introdotto elettroliti con conduttività più elevata e di aver ridisegnato i collettori di corrente tra le celle per contenere cadute di tensione e generazione di calore. Ma il dettaglio che ha davvero fatto scalpore tra gli stakeholder è la capacità di mantenere la ricarica rapida anche a –10 °C: dove oggi i pacchi rallentano drasticamente, Shenxing promette un 80% in 15 minuti. Dietro l’entusiasmo, però, si nascondono sfide tecniche enormi. Una ricarica a 12C, anche con un rendimento del 99,5%, genera diversi kW di calore da smaltire nell’arco di pochi istanti: un compito che richiede sistemi di raffreddamento a liquido ad alta efficienza, vicini a soluzioni aerospaziali più che automobilistiche. E poi c’è il nodo del ciclo vita: quante ricariche da oltre 1 MW può reggere una batteria LFP senza degradarsi prematuramente? Per ora CATL non ha pubblicato dati ufficiali sulla durabilità. Pochi giorni dopo è stata BYD a prendersi la scena con la presentazione della sua Super e-Platform da 1 MW, sviluppata per i nuovi modelli Han L e Tang L. Qui si parla di un sistema completo: pacchi con raffreddamento a liquido diretto sulle celle, elettronica di potenza basata su semiconduttori al carburo di silicio e colonnine proprietarie con cavi raffreddati a liquido capaci di gestire correnti da record. L’integrazione verticale di BYD – dalla chimica delle celle fino alla rete di ricarica – consente di promettere lo stesso numero magico di 400–520 km in cinque minuti, ma con un ecosistema chiuso e perfettamente calibrato. Anche in questo caso, però, i limiti sono evidenti. Una colonnina da 1 MW equivale al fabbisogno istantaneo di un piccolo quartiere: per reggere questi picchi senza mandare in tilt la rete, BYD prevede sistemi di accumulo locale che ricaricano lentamente dalla rete e scaricano velocemente sulle auto. Una soluzione che funziona nei primi siti pilota, ma che va dimostrata su larga scala. Rimane poi aperta la questione della durabilità delle celle LFP sottoposte a stress così elevati e del costo infrastrutturale per replicare queste stazioni in migliaia di punti sul territorio.
A questo link l’articolo completo pubblicato su E-Ricarica di ottobre




