Ecco come l’AI sta cambiando il modo di guidare
Adas, interfacce, V2X: l’intelligenza artificiale sta modificando radicalmente il rapporto tra l’automobile e il suo conducente. Una simbiosi che, grazie a nuovi e sempre più evoluti protocolli di comunicazione, consente ai veicoli di imparare, scambiare dati e adattarsi alle abitudini dell’utente.
di Federica Musto
Sul numero precedente di E-Ricarica è stata raccontata un’AI invisibile ma fondamentale: quella che lavora dentro le batterie, gestisce la ricarica, progetta infrastrutture come fossero sistemi nervosi. Un’AI che rende la mobilità elettrica più scalabile, intelligente, sostenibile. In questa occasione invece il focus sarà quello di raccontare come l’intelligenza artificiale sta cambiando anche il modo di guidare. Parliamo di sistemi Adas che non si limitano a “correggere” l’errore umano, ma lo prevedono. Di assistenti vocali che non aspettano un comando, ma intuiscono una preferenza. Di veicoli che imparano da noi, ma anche su di noi. Ogni salto tecnologico apre nuove possibilità, ma anche nuove necessità: questi sistemi imparano, ma da chi, con quali dati e in quali condizioni? Per funzionare davvero devono essere interoperabili, scalabili e sicuri. La guida intelligente non è una promessa, è un progetto ingegneristico che richiede interfacce chiare, software affidabili e architetture capaci di gestire la complessità, non di subirla.
Adas 2.0: cosa fa oggi l’AI al posto nostro
Chi pensa che gli ADAS servano solo a tenere il veicolo in carreggiata non ha capito che la carreggiata, l’auto, il traffico (e anche lo stesso conducente) sono ormai parte dello stesso sistema intelligente. La nuova generazione di sistemi di assistenza alla guida non reagisce. Prevede, interpreta, adatta. È una rete neurale applicata all’asfalto, alimentata da sensori, telecamere, radar e dati di contesto. Ma il vero cambiamento è nel cervello, non negli occhi: l’intelligenza artificiale ha sostituito la logica deterministica con quella predittiva. Non frena se stai per tamponare. Capisce prima se sei distratto. Non mantiene la corsia. Capisce che stai per uscirne perché ti sei girato a parlare. Non adatta la velocità al veicolo davanti. La adatta al comportamento medio di quella corsia, in quell’ora, in quel meteo. E questo è solo l’inizio. Nei modelli più avanzati, gli ADAS si modellano sullo stile di guida dell’utente. Registrano scelte, tempi di reazione, preferenze implicite. Creano un profilo di guida dinamico che viene aggiornato in tempo reale. Se si guida spesso di notte, iniziano a segnalare prima i pericoli. Se si evita sempre la corsia centrale, lo tengono in considerazione nelle manovre automatiche. La guida non è più un insieme di regole. È un algoritmo che impara. E mentre l’utente pensa di avere il controllo, l’auto sta già ottimizzando traiettorie, distanze di sicurezza, uso dei freni. È machine learning on the road, letteralmente. Tra i primi ad avere puntato sugli ADAS intelligenti – ovviamente – c’è Tesla. Nel suo Full Self Driving (FSD) non c’è niente di “self” e molto di “learning”. Non è un sistema programmato per rispondere a una casistica finita. È un modello neurale che analizza miliardi di chilometri percorsi da milioni di auto, e continua a imparare ogni secondo. Il suo funzionamento si basa su un approccio vision-based puro: niente LiDAR, niente mappe HD. Solo telecamere e una rete neurale che interpreta il mondo esattamente come lo vediamo, ma senza stancarsi e con tempi di reazione misurabili in millisecondi. Esempio concreto: in una rotatoria congestionata, il FSD non aspetta che la strada sia libera. Calcola dinamicamente la velocità, la traiettoria e l’intenzione degli altri veicoli, decide se e quando entrare, adattandosi in tempo reale anche a comportamenti irregolari. Il tutto senza regole codificate: impara osservando cosa fa un “buon guidatore” in situazioni simili. Il sistema è fleet-based: ogni errore corretto da un utente diventa un insegnamento per il modello generale. Se un’auto interpreta male un’uscita autostradale e il conducente interviene, quella correzione viene inviata al cloud, rielaborata e redistribuita all’intera flotta. È un sistema nervoso distribuito. Esattamente come fanno le intelligenze artificiali che vengono utilizzate ogni giorno, spesso senza pensarci. Gli utenti interagiscono, sbagliano, correggono. E l’AI impara. Meta, ad esempio, ha costruito il suo modello di raccomandazione per i Reels osservando miliardi di interazioni: non solo click, ma anche scroll, esitazioni, riaperture. Ogni gesto umano è un feedback. Ogni utente è un insegnante, che lo sappia o no. Il principio è identico: più l’AI osserva, più affina. Che si tratti di capire cosa ti farà ridere su Instagram o cosa farà un SUV a semaforo giallo. Il risultato? Un’intelligenza di guida che evolve in modo continuo, trasversale, collettivo. E non serve essere su una Tesla per provarlo: anche molti modelli mainstream – Hyundai, Ford, VW, BMW, BYD – stanno integrando sistemi intelligenti, magari con meno clamore, ma con risultati concreti. Alcuni lo chiamano “livello 2 plus”, altri “co-pilot”, ma la sostanza è chiara: l’auto conosce il suo guidatore. E prende decisioni prima di lui.
E a livello normativo?
Dal 26 settembre 2025 dovrebbe entrare in vigore in Europa l’emendamento al regolamento UNECE R157 che autorizza le System-Initiated Maneuvers (SIM): manovre avviate direttamente dal sistema, come i cambi di corsia in autostrada, senza richiesta esplicita al conducente. È un passaggio importante, perché consente per la prima volta una gestione attiva della guida da parte dell’AI anche in Europa. Di conseguenza Tesla si sta preparando a lanciare il suo FSD supervisionato entro fine anno, partendo da mercati più aperti come Norvegia e Paesi Bassi, dove sono già attive esenzioni e collaborazioni con le autorità. Il modello sarà simile a quello nordamericano: guida hands-off, eyes-on, dove le mani possono staccarsi dal volante, ma lo sguardo deve rimanere sulla strada, per cui con supervisione costante del conducente. Per arrivare a una vera guida autonoma senza supervisione serviranno nuovi passaggi, sia tecnici che normativi. Ma intanto il quadro regolatorio comincia ad aprirsi. E la direzione è chiara. Il punto vero, tuttavia, è un altro: questa intelligenza che è entrata a fare parte del nostro modo di muoverci non è locale. I sistemi ADAS evoluti comunicano: con la rete, con l’infrastruttura, con altre auto. È la logica del V2X: vehicle-to-everything. Dati condivisi, analizzati, reiniettati nel sistema per migliorare le decisioni future. Ciò significa che oggi un incrocio non è più solo un punto pericoloso. È un nodo dati.
A questo link l’articolo completo pubblicato su E-Ricarica di luglio/agosto




